La Bohème a Palermo riscuote notevole successo.
di Donata Musumeci
E’ ancora in corso al Teatro Massimo di Palermo la messa in scena dell’opera di Giacomo Puccini “La Bohème”, rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino nel lontano 1896 con libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.
L’opera, suddivisa in quattro quadri e ambientata nella Parigi della prima metà dell’ottocento, ci regala un fermo immagine sulla vita di quattro giovani “bohémiens” parigini le cui vicende furono narrate da Henri Murgernel romanzo dal titolo “Scènes de la Viede Bohème” del 1851.
Che il titolo di quest’opera rimandi a quello che è stato un momento storico ben preciso, un movimento letterario e uno stile di vita non è un caso. Si stava per chiudere un secolo, l’ottocento, e l’idea di raccontare qualcosa di nuovo, di musicare un soggetto che avesse qualcosa di innovativo era diventata, per Puccini, quasi un’esigenza. Come odierni spettatori possiamo ancora ritrovarci sia nelle piccole cose del quotidiano (come un cappellino o un manicotto per riscaldarci le mani) che nelle più tragiche dell’umano enaturale divenire: la malattia e la morte. Temi presenti nella trama dell’opera.
I quattro giovani protagonisti parigini, che Puccini rende immortali caratterizzandone la personalità con arie indimenticabili, ci mostrano la marginalità e l’autenticità di un vivere anticonformista; un modo di vivere che trascina i giorni spingendone più in là gli orizzonti per concentrarsi sul presente e sui fuggevoli bisogni dell’oggi. Ma la spensieratezza è solo una maschera con cui poter affrontare al meglio le fatalità che si presentano. In un’anonima soffitta di uno dei palazzi del quartiere latino di Parigi Rodolfo (il poeta),Marcello (il pittore), Colline (il filosofo), Schaunard (il musicista) appaiono sulla scena. Una allegra compagnia di squattrinati e spensierati giovani. Ognuno coi suoi sogni, ognuno con le sue disillusioni. Si ritrovano insieme a raggirare il padrone di casa a cui devono l’affitto in scadenza. Ma questo primo incontro/scontro con la dura realtà si conclude al caffè Momus dove con gioia i giovani protagonisti trascorrono la serata. Non riescono a superare con altrettanta disinvoltura la morte dell’amata e gentile amica Mimì.
Matthew Polenzani è un appassionato Rodolfo. Interpreta il ruolo con grande trasporto emotivo mostrandosi così perfettamente a suo agio sulla scena che tutto il pubblico non ha potuto che applaudirlo calorosamente dopo le celebri arie del primo quadro “Che gelida manina”e “O soave fanciulla”. Dolcemente innamorato e palpitante ad ogni scena. Fino alla fine Polenzani è il generoso tenore che regala al pubblico un’incredibile voce, mostrando una grande tecnica vocale che quasi rasserena l’ascoltatore con il suo bel timbro.
Vincenzo Taormina è un prorompente Marcello. Una grande presenza scenica per questo baritono che passa dalla gelosia al languore amoroso di chi rinuncia all’orgoglio e cede al disincanto di un amore quasi tormentato dalla gelosia e dall’ira. Non rinuncia a nessuna delle possibili espressività facciali e corporee. Sul palco si diverte e fa divertire come nessuno dei suoi colleghi. Un timbro caldo e pieno che rende il suo canto davvero convincente con un’estensione che non tradisce alcun incertezza sonora.
Marko Mimica è un serioso Colline, un basso baritono dal timbro profondo e grave. Una voce incisiva che risuona e colma pienamente il teatro.
Christian Senn è un sofisticato Schaunard. Anche lui, con un’impeccabile presenza scenica, interpreta il ruolo con un timbro vocale elegante e preciso.
Le grandi protagoniste femminili sono, invece, Mimì e Musetta.
La prima intreccia un romantico legame amoroso con Rodolfo e interpreta l’amore dolce, puro e forse un po’ scontato che si rende lieto con una devozione sicura e appagante come il primo sole di Aprile “Mi chiamano Mimì”. La seconda, Musetta, incarna il prototipo dell’amore frivolo e nervoso che, a tratti, si perde per inseguire non l’uomo amato ma l’amore in sé, senza troppi sentimentalismi. La sua vittima benedetta da questo amore sarà Marcello, il pittore.
Nel ruolo di Mimì la brava Valeria Sepe. Il soprano che ha quasi ostentato, almeno inizialmente e, soprattutto nel primo quadro dell’opera, un grande controllo della propria voce. Precisa nei registri alti senza sbavature o forzature ha conquistato il pubblico di Palermo che le ha dedicato diversi applausi.
Di certo possiamo ammettere di preferire se non la cantante almeno il ruolo di Musetta, interpretato da Jessica Nuccio che ha dato voce alla bella e affascinante “coquette” tutta seduzione e allegria che ha saputo mostrare la giusta compassione verso l’amica morente nel quarto quadro. Un’espressività a cui non è sempre seguita l’emissione di un bel timbro sonoro.
Nei panni dell’impacciato padrone di casa Benoìt e dell’amante burlato Alcindoro, entrambi anziani (e per niente bohèmien) troviamo Angelo Nardinocchi, un veterano del belcanto che dà un prezioso contributo allo spettacolo con enfasi, divertimento e una bellissima voce matura e profonda.
La regia di Mario Pontiggia rilegge “La Bohème” secondo canoni tanto tradizionali quanto efficaci. Suggerisce il giusto “pathos” nei momenti drammatici e una spinta divertente nei passaggi di deliberata spensieratezza che Puccini ha descritto. Pertinente anche il gioco di luci di Bruno Ciulli che quasi descrive il tramonto e la morte di Musetta che passa dall’amore alla malattia per approdare ad una morte colma di luce che la pone in primo piano; proprio lei che diceva di essere bella si, ma come un tramonto e non come l’alba che Rodolfo scorgeva nel suo sguardo.
Mirabili, colorati, sgarcianti al cafè Momus o efficacemente cenciosi nella misera soffitta i costumi di Francesco Zito. Grande è la cura che ha posto anche nella realizzazione delle scene, così realistiche ma non altrettanto scontate nella loro semplicità comunicativa. Una soffitta è una soffitta, un caffè parigino di fine ottocento non era niente altro che baldoria e colore. Gradito ogni aspetto delle sue scelte sul palcoscenico.
Su tutto lo spettacolo ha vigilato la mano sapiente della direzione di Daniel Oren, la cui esperienza di portata internazionale ha offerto all’orchestra l’occasione di divenire un’assoluta protagonista dell’opera. Vibranti e corali i suoni orchestrali sotto la sua direzione musicale.
Hanno partecipato allo spettacolo Pietro Luppina nel ruolo di Parpignol, Giuseppe Toia, nei panni di un sergente doganiere, Gaetano Triscari, doganiere, Alfio Marletta, un venditore di prugne.
Coro e coro di voci bianche del Teatro Massimo sono stati diretti rispettivamente dal Maestro Piero Monti e dal Maestro Salvatore Punturo.
La recensione si riferisce alla recita del 16 Dicembre 2018